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Se ci sono idee e progetti ponderati anche i “Piccoli” possono RUGGIRE!!!


Benvenuti ad un altro appuntamento della nostra rubrica MysteryCool dove sveliamo i segreti che si celano dietro realtà di successo.

Oggi vi parleremo della [Copat srl] una realtà tutta piemontese che commercializza utensili, accessori per il cablaggio e componenti elettrici per il settore automotive che ha saputo negli anni attuare una serie di strategie aziendali che hanno permesso di ottenere ottimi risultati.
Andiamo quindi ad analizzare insieme gli elementi che più mi sono piaciuti.

A questo punto soprattutto per i più scettici consiglio di continuare la lettura, perché quello che ho visto nella Copat è la risultante di tantissimi degli aspetti positivi che abbiamo raccolto fin qui e dei quali vi abbiamo parlato nei precedenti articoli.

Proprio così vi stiamo portando una testimonianza del fatto che ciò che è stato scritto non sono solo buoni propositi ma ci sono realtà che stanno utilizzando (anzi le utilizzavano già prima della realizzazione di questo blog) tali strategie per ottenere risultati.

Sicuro che mi perdoneranno i più anche se continuo con il mio solito atteggiamento critico, ma qualcuno che vi “vuole bene”… la scossa, ve la deve pur dare (è risaputo… ai Clienti e ai Lettori si deve voler bene… come persone care di famiglia). 😉

Quindi se pensate ancora “ci vogliono troppi soldi” o “non abbiamo tempo per…” sarà il caso di rivedere in quale direzione si sta navigando per poter apportare le giuste correzioni alla rotta, perché i motivi che ci stanno spingendo in acque profonde e tempestose probabilmente, sono altri e la situazione necessita di ulteriori analisi!

Andiamo a sbirciare il perché di tanto successo, in primo luogo l’analisi del mercato e l’attenzione verso i feedback che arrivano dai commerciali on site hanno permesso alla dirigenza Copat di portare avanti dei progetti di ricerca e sviluppo per la realizzazione di prodotti di qualità e di utensili semplici ed innovativi per agevolare gli utilizzatori finali nel loro lavoro.
Insomma hanno saputo seguire da subito la tesi secondo la quale il cliente vuole essere ascoltato e lui stesso ci consiglierà come ed in cosa vuole spendere i suoi soldi.

Proporre poi i propri prodotti anche su mercati particolari quali quello della preparazione di auto da corsa ed il restauro di auto d’epoca è quasi una scelta obbligata per chi ha fatto dell’aftermarket automobilistico uno dei settori di punta della propria strategia di vendita che prevede una forte componente consulenziale.

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Foto di Daniele Catarozzi – [Lancia Stratos]

Ma come vi ho detto mille volte e vi ripeto per la “milleunesima” questo non è abbastanza, i prodotti anche di qualità non si vendono da soli!
Come ha reagito la realtà che stiamo osservando? La “piccola”, ma organizzatissima azienda del torinese ha saputo coniugare l’esperienza con il nuovo, adattando a proprio uso e consumo strategie osservate per altri settori, realizzando una rete commerciale e logistica sul territorio italiano decisamente particolare, sono stati attrezzati infatti una serie di furgoni per la tentata vendita, si è scoperto che sia per il settore di riferimento che per la particolarità dei prodotti offerti, questo è lo strumento che più si adatta al mercato e che contemporaneamente permette una gestione logistica molto snella ed efficace, permettendo tempestività delle consegne ed un servizio di somministrazione dei beni che si adatta perfettamente alla clientela, offrendo i giusti quantitativi e evitando al cliente costosi stock di magazzino.
Questa strategia si è dimostrata faticosa nel breve ma assolutamente vincente nel medio termine ed ha contribuito alla fidelizzazione della clientela e alla continua espansione sul territorio italiano.

Altro punto di forza è il continuo sostegno della rete commerciale da parte del compound marketing che lavora in sinergia continua con gli operatori impegnati sul campo, in questo ambito è stata sviluppata una comunicazione su vari fronti partendo dai servizi di fidelizzazione del cliente finale con corsi per arrivare a vere e proprie consulenze tecniche, a tal proposito… vi consiglio di rileggervi il nostro articolo [Parola d’ordine Fidelizzare].

Arriviamo in fine alle attività di pura propagazione del marchio ma sempre su argomenti fortemente correlati al mercato di riferimento come sponsorizzazioni a progetti all’avanguardia nel settore automotive.

Ne è un esempio il progetto Xam 2.0 del [Team H2politO – Molecole da Corsa]

Vi lascio ad un contenuto multimediale molto esauriente:

http://www.youtube.com/watch?v=9bG8067z_ts

Fin qui abbiamo rivisto tutta una serie di attività che si possono attuare sul mercato italiano per cercare di far crescere la propria azienda già gli aspetti analizzati potrebbero bastare a guadagnarsi un posto nella nostra rubrica MysteryCool ma come al solito cerchiamo di stupirvi e quindi andiamo ad affrontare ancora un ultimo argomento prima di lasciarci fino al prossimo articolo…

I dirigenti Copat hanno deciso da alcuni anni di affrontare anche un altra sfida, quella della internazionalizzazione, proprio così la famigerata parola che tutti vorrebbero poter pronunciare parlando della propria azienda e che spesso purtroppo si trasforma in un nulla di fatto.

Sono stati in grado di espandere il proprio mercato con passi brevi, pianificati e decisi e ad oggi hanno raggiunto mete che fino a pochi anni fa sembravano irragiungibili, lascio a voi meditare sulla portata di tali operazioni attraverso la prossima figura…

copat_export

Non lo trovate interessante?
Vi lascio soltanto uno spunto… “improvvisare tali progetti vi porterà soltanto a buttare via dei soldi nella speranza di ottenere risultati”!

Quindi vi prometto che affronterò più nel dettaglio l’argomento in futuro con l’aiuto di un paio di colleghi professionisti del settore “internazionalizzazione”, perché secondo me è uno di quegli argomenti assolutamente da trattare ma che per ovvi motivi di spazio non riusciremo ad approfondire in questa occasione vista l’immensità dell’argomento…

Vi ricordo che per eventuali informazioni e domande i commenti al fondo dell’articolo sono aperti a tutti!
Si ringrazia Paolo Guazzone Direttore Marketing Copat srl per la collaborazione.

Vi aspetto tutti al prossimo scottante articolo… sempre in stile MarketCool!

Scritto da Daniele Catarozzi


















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Foto di Daniele Catarozzi – Strategia

[Vol. 1] Pensavo fosse amore e invece era un calesse, l’idea non basta…

[Cit. film del 1991 diretto da Massimo Troisi]

Oggi vi racconto qualcosa che forse vi cambierà la vita o almeno il modo di osservare le cose intorno a voi.

Mi capita spesso di passeggiare per strada e notare, soprattutto nel quartiere dove vivo, vecchie attività che chiudono e nuove che sorgono nei locali lasciati vuoti dalle precedenti “avventure” di business.
Escludendo quelli che già a prima vista si rivelano degli “epic fail” e che raramente durano più di un anno, mi è capitato a volte di notare idee innovative, dislocate in posizioni strategiche e parlando con la mia “socia di vita” (l’altra cibernauta marketer per intenderci) poter dire “cavolo che bella idea che ha avuto, se gioca bene le sue carte questo fa il botto”.

Bene molto raramente quelle persone hanno “fatto il botto” il perché lo andremo ad analizzare nelle prossime righe…

Evidentemente non hanno giocato bene le carte a disposizione, ma di quali carte parliamo? È facile parlare con il “senno del poi” giusto?


È proprio per questo che il senno ce lo dobbiamo mettere prima!
Vi state chiedendo in che modo? Bene vuol dire che siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

Affronterò attraverso più articoli i vari aspetti da analizzare. Questa volta iniziamo da cose pratiche e “spicciole” ma che possono fare la differenza tra una attività di successo ed una fallimentare.

Sì perché se non partite con il piede giusto è molto probabile che nell’arco di uno o due anni dovrete chiudere bottega se non peggio… ovvero, dichiarare fallimento con tutto quello che comporta.

Vi sto spaventando vero?
Molto bene perché la paura vi mantiene vigili, avere una idea e “subodorare” il business che ne può venire non significa avere già una attività funzionante per le mani.
Piccolo consiglio: se pensate di aprire una azienda facendo lo spin-off dall’attività per la quale state lavorando come dipendenti è il caso che vi leggiate prima questa [Intervista]

Allora da dove iniziare? L’analsi dei costi e del budget


Se riusciamo ad avere una idea abbastanza precisa dei costi a medio termine potremo poi passare alla fase di analisi SWOT e del fatidico Business Plan (di questi due aspetti ne parleremo in altri articoli), ma prima di tutto dobbiamo renderci conto quanti soldini servono per trasformare la nostra idea in attività di business!

La prima cosa da fare è quindi iniziare a raccogliere dati; le informazioni sui costi sono fondamentali ed è proprio il focus di questo articolo. Spesso sottovalutiamo alcune voci dei centri di costo: queste voci “occulte” sono i principali nemici. Sottovalutando alcuni centri di costo si ottengono informazioni fuorviani che ci porteranno ad avere delle difficoltà una volta avviata l’attività.

Facciamo alcuni esempi, avete pensato sicuramente alla ristrutturazione dei locali, ai costi fissi per l’affitto, l’energia elettrica, l’acquisto del magazzino (inteso come eventuali beni da rivendere), eventuali royalties per il marchio se aderiamo ad un franchising, i costi di commercialista e ciò che come minimo dovremo versare allo stato?
Ci avete pensato bene?… Quindi abbiamo tutto quello che ci serve… Cosa ne dite ci buttiamo in questa nuova avventura?
Ecco fatto sotto trovate la stupenda foto del nostro fiammante shop! 😉

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[Foto di Fabio Catarozzi – Portobello Road]

Ok ora siamo pronti per fare fallimento…



No, non strabuzzate gli occhi, se pensavate che i costi per l’apertura di una piccola attività sono tutti qui e avete esaurito il budget a disposizione con l’adempimento degli obblighi derivanti dalle voci di costo che ho elencato sopra vuol dire che avete dimenticato una bella fetta della torta e questo vi porterà ad un epic-fail!

Cosa manca nella lista dei costi?
Semplice mancano le voci “Advertising” e “Costi del personale”.

Sì, lo so che la seconda voce per voi non esiste siete da soli non dovete pagare nessuno…
Sbagliato (dovrete pur portare a casa la pagnotta) se lavorate nella vostra attività è d’obbligo mettere in conto anche il vostro stipendio, gli utili dovranno arrivare al netto di tale voce di costo, se è l’unica cosa che riuscite a gaudagnare dal vostro business è uno stipendio è meglio che vi mettete a cercare un lavoro da dipendente, frutta di più e vi da meno preoccupazioni (nonostante il periodaccio)!

Altro aspetto dei costi del personale che non viene quasi mai preso in considerazione è la voce “costi per la formazione”.
Sì lo so… siete bravi in quello che fate e avete avuto una idea geniale da trasformare in business, ma dovrete formarvi su diversi aspetti, aprire una azienda comporta la necessaria acquisizione di competenze, un investimento che ha costi di attuazione più elevati di quanto immaginiate.

Ok a questo punto il meno è fatto… Sì il meno perché se pensate (o vi hanno fatto pensare) che basterà aprire un negozio fronte strada e tutti non vedono l’ora di entrare nella vostra attività per spendere i propri soldi vi state sbagliando di brutto!
Forse poteva funzionare nell’800 quando a Torino si inventò la produzione industriale del cioccolatino da salotto, tempi d’oro e di cioccolato, che sono iniziati e finiti piuttosto velocemente per molti, in fondo se la frase “Fare la figura del cioccolataio” arriva da un lontano passato ancora alle nostre orecchie ci sarà un motivo.

Carichi di dolci promesse passiamo alla voce chè più dovrà pesare soprattutto nei primi anni di vita della vostra nuova fiammante attività, la pubblicità!

No non mi dire che non ci sono i soldi e che se la possono permettere solo le grandi aziende…

La risposta alla domanda ma “è proprio necessario spendere soldi in questo?”…

Sì ne avete proprio bisogno: senza pubblicizzare la vostra attività, arrancherete a morte tutti i giorni e vi vedrò ora dopo ora davanti alla porte delle rispettive botteghe fare quattro chiacchiere con il negoziante vicino che come voi sta attendendo il cliente sperando che scenda dal cielo come la combinazione vincente del Superenalotto.
Non ti preoccupare, vi darete pacche di conforto sulle spalle a vicenda perché è colpa della crisi se non ci sono clienti, è colpa della crisi se voi non portate la sacrosanta pagnotta a casa!

Quindi se non volete passare le giornate a darvi pacche sulle spalle a vicenda è il caso che valutiate il costo della pubblicità prima di iniziare.

Quali strumenti possono essere utilizzati? Ce ne sono tantissimi ma direi di approfondire questi concetti in articoli differenti, per il momento ricordate di calcolare bene i costi da sopportare nei primi 2 anni di attività (incluso il budget pubblicitario) e poi valutate i soldini che riuscite a raccimolare, se sono meno dei costi che dovete sostenere allora è proprio il caso di meditare una temporanea “cassettizzazione” del progetto fino al raggiungimento del budget necessario!

Ringrazio Frank Merenda per gli spunti di riflessione che mi hanno portato alla redazione di questo articolo!

Scritto da Daniele Catarozzi

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Per la rubrica Interviste, oggi MC2 MarketCool vi presenta Frank Merenda Blogger, Venditore e Formatore.
Ideatore del corso Venditore VincenteTM.

Ho avuto modo di confrontarmi con Frank in passato su vari aspetti del nostro lavoro, questa sera vorrei condividere con voi alcuni argomenti che penso possano tornare utili!

Ciao Frank, ti faccio una domanda per rompere il ghiaccio:
Hai fatto per anni il commerciale e continui a farlo ancora oggi dividendo le giornate tra management e vendita, una discreta parte del tuo tempo viene poi assorbita dall’attività di formatore, quale dei due “mestieri” ti piace di più e ti da maggiori soddisfazioni?


Ciao Daniele.
In realtà la mia attività di formatore è sempre più “compressa” visto che ho abbandonato quasi del tutto le consulenze private e mi limito a fare qualche edizione del corso Venditore Vincente, poche volte all’anno.
Il mio focus è ad oggi concentrato nelle reti vendita delle mie aziende che seguo personalmente.
La “formazione”… è il “prodotto” del Venditore Vincente e io sono colui che eroga quel prodotto.

Faccio parte di quegli imprenditori che amano così tanto ciò che fanno, da sentire il desiderio di condividerlo e perchè no, renderlo un buon business possibilmente profittevole. Non potrei essere un buon venditore e direttore vendite se non avessi la passione per insegnare (ai clienti e ai miei uomini) e non potrei essere un formatore vendite di qualità se non fossi credibile sui due ruoli appena citati. Non amo più questo o più quello, semplicemente perchè per me sono parte della stessa “professione”.



Molti dei nostri lettori sono imprenditori delle PMI cosa possiamo consigliare loro per mettere in piedi una rete commerciale che funzioni veramente, quali aspetti dovranno curare più attentamente?

Io dico sempre cose che gli imprenditori non vogliono sentirsi dire. Gli imprenditori italiani delle PMI sono spesso frutto di uno spin-off…cioè sono tecnici che si mettono in proprio, aprono una partita iva e hanno come strategia commerciale: “Ti faccio quello che ti faceva il mio capo prima, ma mi paghi di meno e ti seguo meglio perchè noi siamo più giovani e con voglia di lavorare”.

Questo crea una marea di aziende cloni sul territorio assolutamente indifferenziate, nonchè incapaci di espandersi o semplicemente sopravvivere in mercati complessi come quello attuale.

Mettere in piedi una rete commerciale quando il focus dell’azienda è il “prodotto di qualità”, la politica sconti e la “personalizzazione” è semplicemente impossibile. Direi in tutta sincerità a questi imprenditori di liquidare l’azienda, evitare di perdere tempo e di mettersi in salvo finchè sono in tempo.



Una domanda invece per chi approccia il mestiere del venditore, tutti i giovani dalle brillanti prospettive che il nostro lavoro avvicina o perché no, quelle persone che si devono reinventare in un momento di crisi: da dove devono partire per fare il primo passo verso un cammino di formazione che li porti all’eccellenza, nel senso della sacrosanta pagnotta sulla tavola e alcune soddisfazioni professionali oltre che economiche?

Un venditore o aspirante tale dovrebbe innanzitutto conoscere la lingua inglese ad un livello business. Senza l’inglese oggi sei letteralmente tagliato fuori dal mondo della formazione. Non hai nemmeno la capacità di discernere se quello che ti viene insegnato è una fregnaccia o meno, è questo il vero problema.

Quando io sono comparso sulla scena qualche anno fa con Venditore Vincente, parlavo di cose che suonavano scioccanti o rivoluzionarie. Questo perchè in Italia la formazione vendita professionale non esiste. Vi sono solo persone che la mettono nel loro pacchetto corsi, insieme alla motivazione, alla leadership, alla contabilità e alla logistica. Ciò che è sempre stato erogato in Italia non sono altro che un pastone rigurgitato di banalità motivazionali miste a tecniche anni ’50-’70.

Io ho sempre detto…”Non credete a me, vi basta mettervi in contatto anche virtuale con qualunque accademia vendita riconosciuta a livello internazionale e vedrete che ciò che dico non è rivoluzionario ma sono banalia”.

Se parli e leggi in inglese puoi toccare con mano. Altrimenti devi berti le scemenze “Fatti amico il cliente, fai domande aperte e non chiuse, non ci sono due occasioni per fare una buona prima impressione, il nome del cliente è il suo più dolce che possa sentire” e penosa compagnia cantante al seguito.

Queste informazioni dequalificanti hanno contribuito a tenere in Italia il ruolo del venditore come quello del “mestiere di chi non ha un lavoro vero”, invece che una professione di assoluto prestigio e per persone con qualità superiori alla media come è nei paesi di tradizione anglosassone.



Diamo un paio di consigli anche su quelli che definisco i misteri della vendita, l’argomento tabù per i più… Questa secondo me è una domanda ridondante dalla quale quasi tutti girano alla larga, perché forse non si sa la risposta… O come i pescatori incalliti non si vuole svelare il punto segreto del lago dove c’è maggiore probabilità di catturare la preda… Dove secondo te un commerciale in erba deve iniziare a cercare i clienti e con quali strumenti?

Guarda, non si vuole dare la risposta perchè la risposta non piace nè agli imprenditori nè a molti venditori. La “vendita” ha un nome specifico nel ciclo di un’azienda che si chiama “lead conversion”, cioè conversione di contatti commerciali (lead) in contratti.

Il problema è che in Italia, gli imprenditori focalizzati sul prodotto, pensano che la loro roba si venda da sola perchè è di grande qualità, basta che qualche fesso con un po’ di parlantina, faccia tosta e voglia di lavorare ne vada a parlare bene in giro. Questa concezione da dopoguerra sotto le bombe è il cancro che ammorba l’economia del nostro paese.

I venditori quindi in Italia non devono vendere, bensì fare generazione di business in toto. Cioè gli “strumenti” del mestiere sono una lista/elenco del telefono dove allenarsi facendo telefonate a freddo e andando a bussare porte a perfetti sconosciuti. Che follia…

La realtà è che l’azienda dovrebbe avere innanzitutto un posizionamento di marca o Brand Positioning fatto da un esperto, per poter comunicare al mercato una differenza competitiva e non il classico “Me too” (lo faccio anche io a meno prezzo). La “marca” in Italia è fatta dagli imprenditori mettendo il proprio cognome, le proprie iniziali o un nome di fantasia legato al fatto che un giorno andando a caccia hanno visto un tordo volare in cerchio. Non sto scherzando.

Partendo da questa differenza di Brand, bisognerebbe avere un piano di marketing a risposta diretta che porti contatti caldi e interessati sul piatto. Questo si fa sia online che offline, anche se non è il caso di entrare nei dettagli ora. Ci sono esempi sul mio blog di miei studenti che sono in crisi perchè hanno troppi clienti caldi da gestire e l’azienda non è cresciuta abbastanza in fretta, tanto per dire.

L’imprenditore medio italiano invece fa la “pubblicità” per i motivi più sbagliati. Tendenzialmente perchè qualcuno si è presentato nel suo ufficio e gli ha appioppato un passaggio sulla tv locale, alla radio, sui cartelloni della città o sulla Gazzetta locale. “Pubblicità” non a risposta diretta, che dice al massimo “esistiamo” creando un minimo di awareness assolutamente inutile.

Quindi il ciclo di vendita per procacciare clienti non parte dall’azienda ma viene lasciato a poveri venditori volontari che come i kamikaze di nipponica memoria si buttano urlando “BANZAI!!!” contro cornette del telefono e porte sperando di chiudere qualcosa con la formula “20 appuntamenti – 1 contratto”. Roba triste, deprimente e da paese arretrato.

I metodi di vendita delle aziende Italiane sono molto più simili a quelli Polacchi o Rumeni (con l’assoluto rispetto per queste nazioni) che alle metodiche moderne di estrazione anglosassone.



Cosa significa per te utilizzare un metodo di vendita? Quali sono le differenze tra tecniche e metodi di vendita?

Io parlo di Sistema di Vendita, che è quell’insieme di procedure che vanno dal posizionamento, al marketing operativo, alla lead generation sino alla lead conversion, che in sintesi producono contatti caldi di qualità da convertire secondo le metodologie di vendita più testate ed efficaci. Questo è quello che insegno ai miei studenti.

Le “tecniche di vendita” sono invece ciò che viene proposto di solito. Un polpettone di tecniche manipolatorie, motivazionali e figure retoriche linguistiche che dovrebbero portare il cliente a rispondere in una certa maniera al nostro modo di fare. Vengono insegnate perchè gli imprenditori vogliono solo quello…cioè gente carica con qualche arma di persuasione in più…perchè “il loro prodotto si vende da solo”.

La realtà è che bisognerebbe riprogettare una buona fetta dell’azienda da zero…ma per chi vende formazione è più facile dire “Che bella la sua azienda, peccato per questi lazzaroni dei suoi venditori, ma non si preoccupi, glielo formo io!”… che dire la verità.



Secondo te quali sono i limiti della formazione commerciale professionale che si riscontrano oggi in Italia?

I limiti della formazione commerciale professionale in Italia sono semplici : non esiste.

Se escludi Venditore Vincente, che è il primo sistema di vendita in Italia, ti trovi sempre davanti a due situazioni tipiche:

1 Consulente “generico” dalle competenze non meglio identificate che nel suo pacchetto corsi mette a catalogo anche un corsetto vendita, rigurgito di materiale motivazionale e tecniche di vendita anni 50-70.

2 “Esperto” di una disciplina nota come PNL, che spaccia corsi di “comunicazione efficace” per corsi di vendita, con presupposti e risultati al limite dell’esilarante. Disciplina che in USA, patria della vendita professionale, non è insegnata in alcuna delle accademie riconosciute. Però noi italiani siamo più furbi e ce la siamo fatta vendere come il santo Graal della vendita per anni. Per quello stresso tanto sul “impara l’inglese, fatti una tua cultura”, perchè altrimenti non puoi difenderti da questi ciarlatani.

Fortunatamente oggi, anche grazie al mio blog, le cose stanno cambiando…ma siamo ancora lontani da una situazione corretta.

Partendo da questi presupposti abbiamo poi il vero problema che è il conflitto di interessi dei formatori che si occupano anche di vendita.

Io sono il primo formatore in Italia a erogare corsi professionali di vendita direttamente ai venditori che se li pagano di tasca loro. Era una cosa sulla quale quando ho cominciato tutti mi dicevano “è impossibile, sei pazzo”…eppure funziona.

Il conflitto di interessi nasce dal fatto che se vendi formazione all’azienda, tenderai a seguire l'”agenda” che l’azienda ti sottopone e per la quale ti paga. Ergo, invece che andare a risolvere i veri problemi della catena di vendita che sono insiti all’azienda e solo da ultimo sono imputabili ai venditori, se vuoi farti pagare la fattura ti conviene fare ciò che ti viene detto. In gergo tecnico si dice che “attacchi l’asino dove vuole il padrone”.

Per questo i “corsi vendita” si limitano ad una spruzzata di motivazione e di tecniche desuete. Da una parte perchè i formatori se va bene parlando dialetto, hanno fatto l’ultima vendita nel 1986 quando uscì Pac Man e le loro competenze sono risibili. Secondariamente perchè quand’anche fossero competenti (e non lo sono) non gli conviene dire la verità ma limitarsi al “Non si preoccupi Siùr parùn de la fabrichetta…glieli motivo io sti lazaroni!”.

E questo è tutto.



Un’ultima domanda: quali sono secondo te i “demoni” che un commerciale deve affrontare in un periodo di crisi per tornare ad essere “Vincente”, dacci anche un consiglio per affrontarli e superarli?

In periodo di “crisi” ci sono commerciali che hanno più clienti di quanti ne possano gestire, questa è la verità. Basta guardare le testimonianze che di continuo metto anche sul mio blog.

Il problema vero è che quando finisce la trippa grassa, cioè si vende perchè i nostri clienti vendono di più grazie alle bolle creditizie (l’ultima è esplosa nel 2008), i venditori si trovano allo specchio.

Vogliamo parlare un po’ di dura verità? Parliamone.

Il venditore medio non vuole fare il venditore. Abbandonerebbe immediatamente quello che fa se ci fosse un’azienda disposta a dargli uno stipendio fisso di 1500 euro più benefit, ferie pagate e tredicesima. Questo perchè come ho già accennato, fare il venditore in Italia è una professione di ripiego. E’ il mestiere per quelli che non hanno un lavoro vero.

Basta considerare qual’è la domanda più gettonata che amici e parenti fanno ad un venditore che è: “Ma quando ti trovi un lavoro vero?”.

A questo bisogna aggiungere la malcomprensione sociale per la quale il venditore sia un mestiere fai da tè, dove servono caratteristiche innate come la “faccia tosta”, la “parlantina” e il “saperla raccontare”. Quindi se queste caratteristiche sono le uniche che servono e sono innate, “o ce le hai o non ce le hai” quindi non serve studiare e non si può migliorare.

Aggiungiamo ancora che appunto il venditore è professione che attrae gli “scappati da scuola”, perchè se ci fossero andati oggi avrebbero un “lavoro vero”. Ergo molte persone che fanno i venditori sono dei “praticoni” con l’allergia allo studio ed al miglioramento della propria professione. Se gli dici di studiare o che la loro professione esattamente come tutte le altre richiede anni di studio, preferiscono lasciarsi morire piuttosto che mettersi in discussione.

Il venditore invece richiede un’autostima e una professionalità straordinaria. Il venditore possiede capacità di oratoria, retorica, psicologia, negoziazione nonchè di scrittura persuasiva e capacità amministrativo-organizzative per l’equivalente di 3-4 lauree. Lo studio continuo è necessario, mentre il venditore medio è addestrato e portato a credere che servano “Due giorni di spiegazione tecnica dei prodotti, cataloghi, due calci in culo, faccia tosta e tanta buona fortuna”.

Con questa mentalità non si va da nessuna parte. Il mio consiglio? Non ci sono bacchette magiche. Esiste solo investire di continuo sulla propria professione, e in Italia come in USA bisogna farlo se si desidera eccellere di tasca propria, lavorando con i migliori. Chi pensa che “la strada è l’unica maestra” è destinato a sparire. Mi dispiace essere duro ma è così.

Tutti danno per scontato che per fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere siano necessari anni di studio. Finchè non lo si darà per scontato anche per il venditori, la “crisi” per queste persone non passerà.



Ringrazio Frank per il tempo che ci ha dedicato rispondendo a domande e dandoci spunti di riflessione con il suo inconfondibile stile…

Potete seguirlo sul suo blog:

[Il blog del Venditore Vincente]

Come promesso tante volte…Su MarketCool… Sempre nuovi spunti, dolci o rudi che siano… rivolgiamo uno sguardo al mondo “Azienda” riportando casi di successo o Epic Fail… Stay Tuned!

Daniele Catarozzi

















Se siete dei “Jedi marketer” devoti e con una incondizionata fede nel web marketing non vi consiglio di proseguire oltre, perché in questo articolo espongo il pensiero di un Jedi marketer che è passato al “Lato Oscuro” e che svelerà l’altra faccia della medaglia… o meglio… mi vestirò dei panni di chi proprio, non capisce, non crede in queste cose e non reputa importante o proficuo investire nella “Forza del Web”.

Ok se volete continuare comunque a leggere, sappiate che lo fate prendendo atto che, come ogni Sith che si rispetti ci andrò giù pesante!!!! 😉

Partiamo da un semplice concetto, “la storia la scrivono i vincitori” quindi se alla fine delle Star Wars i Sith avessero vinto, avreste visto una saga basata sull’oppressione di Cavalieri Jedi, reazionari, fanatici che mantengono il potere con il terrore imposto dalle spade laser, persone che sopprimendo i propri sentimenti vessano creativi che utilizzano amore, odio, rabbia… per trarre beneficio da tali sensazioni e plasmare l’universo a proprio piacimento…



Insomma Vincent Van Gogh e Salvador Dalì… come minimo sarebbero stati spacciati!

Per fortuna alla fine son stati sconfitti e il pacifico e “liberale” Impero Galattico ha trionfato… ma andiamo al sodo.

Nel mio viaggiare attraverso l’universo ho conosciuto vari tipi di Jedi e di Sith vediamo di fare chiarezza sulle caratteristiche salienti degli uni e degli altri.



Il Jedi Marketer fervente

Questo è uno dei personaggi che si incontra abbastanza facilmente nell’universo web nella galassia dei Social Network, di solito si lamenta del fatto che i Sith e le persone in generale non lo capiscono.

“Gli Altri”… coloro che, Il Jedi Marketer Fervente, definisce in gergo “Il Management” oppure i “maledetti” CEO delle PMI, proprio non comprendono gli innumerevoli benefici della “forza del web”, anzi… i Jedi Ferventi, arricchiscono di dettagli le loro infinite lamentose recriminazioni, di quanto i Sith ed il Management, siano sciocchi a non rendersi conto che l’unica strada sia quella della “Forza buona del web…” pensano che questi individui se sono dove sono è per puro mistero legato a qualche aspetto della “Forza” che non padroneggiano ancora!!!



Ok ora espongo la mia visione Sith…

Caro “Jedi Marketer” perché non ti spogli un attimo della tua veste di marketer e se devi vendermi un concetto non ti metti un attimo ad ascoltare le mie esigenze e non inizi a parlare la mia lingua, potresti in questo modo spiegarmi quali sono i benefici di ciò che mi stai proponendo e potremmo cercare delle soluzioni in sieme!

Insomma… sii un poco meno Jedi e un poco più Watto, il Toydariano venditore di parti usate di astronavi… (vedi La minaccia fantasma e L’Attacco dei Cloni).



Mi capita spesso di intervenire ad alcune conferenze sull’advertising e ascoltare testimonianze di “Jedi Marketer” che sono comprensibili solo a noi del “mestiere”, mi guardo intorno e vedo le facce ceree dei CEO e del “management” appena si parte con la solita pletora di acronimi… SEO, SMM, SMO, SEM, DEM, PPC… E-Commerce, social commerce… Il Pulcino Pio… Ma ragazzi stiamo scherzando?

Un imprenditore cosa può fare… è interventuo all’evento investendo tempo prezioso, per cercare di avere spunti di riflessione su come migliorare il suo business e si trova ad ascoltare una comunicazione in codice delle “forze speciali”!

Quando si parla poi di quantificare i benefici di investimenti nella “Forza del Web” è impossibile farlo, perché se si mettono in una stanza cento “Maestri Jedi Marketer” ognuno avrà una opinione diversa e poi ci si lamenta che il management non capisce???



I’Apprendista Jedi Marketer

Guardatevi dall’apprendista, intriso di fervore mistico cercherà di convincervi a tutti i costi di intraprendere la strada del “Lato Buono della Forza”, vi proporrà investimenti minimi per fare salti al limite dell’incredibile ma puntualmente dimentica mille aspetti collaterali.

Piccoli esempi che puntualmente vengono dimenticati o accantonati come aspetti di poco conto, gli e-commerce necessitano di ingranaggi logistici ben oliati ed investimenti importanti in advertising per funzionare, un progetto di marketing deve prevedere più canali ma soprattuto deve essere programmata una strategia, altrimenti il rischio di investire inutilmente è decisamente alto.

I budget per il marketing si abbassano in periodi di crisi e si deve massimizzare il risultato con quello che si ha, a volte il budget è vicino al vuoto assoluto dello spazio… 😉

Per questo gli errori vengono poco “tollerati” quindi una pianificazione accurata è uno degli strumenti migliori per evitare costosi errori, comunque per ogni eventualità…


Consiglio lo stile di incentivazione Sith…




Il Lato Oscuro e la visione finale
Essendo un Sith a questo punto decido che forse non mi interessano le idee degli altri Sith quella è una cosa da Jedi e inizio ad immaginare un universo plasmato intorno alle mie… di visioni creative…

Forse nessuno ha ragione, forse dovremmo cambiare completamente approccio cambiare modo di vedere l’universo, i Sith e compagnia bella dovrebbero capire che di alcuni investimenti non si può calcolare un ROI, che esiste la brand reputation e che i benefici di alcune strategie si vedono nel lungo termine, i Jedi d’altro canto non devono per forza percorrere la loro strada incuranti di ciò che accade per le strade del mondo, perché business is business e se non si vende si va tutti a casa!



Big thanks to David Grosso (Charlotte USA) for the ideas on the Dark Side!

scritto da Daniele Catarozzi

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