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Le Differenze Culturali


Abbiamo dato nelle precedenti pillole, un’infarinatura generale di che cosa si deve fare prima di avviare il motore prima di partire con un programma di internazionalizzazione.
In questa e nelle prossime pillole vorrei affrontare che cosa bisogna fare sul campo. Perché una cosa e la pianificazione tutt’altro e la realtà che ci aspetta sul mercato.
Pertanto per iniziare vi lascio con una breve analisi che con il mio gruppo di collaboratori mettemmo giù quando iniziai questa attività di Consulenze, sulle differenze culturali che ci sono tra il modo di fare e vivere il Business negli USA ed in Italia.
Si perché conoscere le usanze (non cosa mangiamo ma come lavorano) il paese dove vai, come già detto, è di massima importanza.

THE AMERICAN WAY OF BUSINESS…

• Negli Stati Uniti i consumatori tendono ad essere orientati più al breve periodo e quindi prediligono l’ottenimento rapido dei risultati, mantenedo un occhio di riguardo verso l’aspetto del prodotto e la sua convenienza.
• Nella società Statunitense esiste una forte concorrenza oltre ad una componente di individualismo.
• Ci si aspetta che i leader sappiano prendere delle decisioni in modo top-down.
• Gli Statunitensi hanno tipicamente un atteggiamento del “si può fare”.
• Il compenso dei Top Manager ha una grossa componente di premi e di incentivazioni legate alle prestazioni aziendali. E’ comune l’opzione di partecipazione sia al profitto aziendale che al pacchetto azionario (Stock option).
• Spostarsi di citta o stato per trovare un lavoro non è un deterrente per la maggior parte dei dipendenti americani.
• In molti Stati della Federazione le leggi consentono di licenziare il dipendente quando necessario e con breve preavviso – spesso questo non supera le due settimane.
• Contratti di lavoro dettagliati sono solitamente preparati solo per i Quadri e Dirigenti.
• Esistono delle norme rigorose in relazione alle pari opportunità inerenti al processo di assunzione per quanto riguarda le donne, l’età e le minoranze etniche.
• L’ammontare delle ferie pagate inizia in genere con dieci giorni all’anno e con il bonus di un giorno per ogni anno di anzianità.

VERSO… come SI Fa il business in ITALIA

• Viene data l’enfasi al prezzo del prodotto e le sue performance – sia da parte dei clienti che da parte dei produttori, anche se i parametri non sempre corrispondono.
• I sindacati italiani sono tradizionalmente forti. I dipendenti tendono a fare affidamento su norme consensuali disciplinate da un’autorità collettiva.
• Oltre l’85% delle industrie italiane sono PMI e direttamente controllate e gestito dalla famiglia proprietaria.
• Nuove “direzioni e proposte” spesso sono viste con scetticismo, e messe in discussione dal “perché non”.
• I processi decisionali sono spesso rallentati dalla struttura delle imprese ed il flusso, di tipo “bottom-up”, delle informazioni.
• I diritti sono elementi importanti per la compensazione e la motivazione.
• Le radici locali, la tradizione e le “connessioni famigliari” limitano la mobilità.
• Il licenziare personale è fortemente regolato da leggi e accordi sindacali, e in molti casi sono difficili e costosi.
• Agosto viene normalmente utilizzato come periodo di vacanza, ed è difficile trovare qualcuno disposto a lavorare durante quel mese.
• L’occupazione è vista come un diritto sociale non come un dovere verso il datore di lavoro.
• L’incapacità ad adeguarsi alle condizioni del mercato è il motivo principale del il fallimento delle imprese italiane negli Stati Uniti.


Scritto da David Grosso
[45° Parallel Consulting]

Il Dove e Quando


Abbiamo più che dettagliatamente elaborato su il Come in quanto è il passo più importante quando si parla della preparazione di un’azienda ad un’azione di internazionalizzazione. Però le altre due fasi successive ovvero il Dove ed il Quando non sono da sottovalutare o da prendere sottogamba.

Il Dove è una fase importante in quanto definisce con chiarezza una componente essenziale del percorso di internazionalizzazione che sarebbe già dovuta essere stata pianificata nel BP o per meglio dire che dovrebbe fare nascere un BP e MP ad hoc in quanto richiederà una serie di sforzi aziendali (personale, strutturale e finanziario) che va valutato in anticipo. Ricordiamoci il mio appunto sull’internazionalizzarsi prima di internazionalizzare.

Quindi la questione Dove deve essere una questione tipicamente di strategia aziendale. Il dove non deve essere dove van tutti, anche perché seguire la massa come un caprone non serve a nulla, anzi ha normalmente l’effetto contrario a quello che ci aspettiamo. Il Dove che in poche parole è il mercato/i dove vogliamo andare, deve essere scelto in base alle nostre capacità aziendali, alle condizioni del mercato, al costo relativo all’operazione e non ultimo dall’attrattiva che il nostro prodotto ha sui potenziali clienti in quel paese.

Questa del mercato o del dove, diventa una decisione che richiede un certo livello di rischio, ecco perché internazionalizzare non va visto come un processo semplice e da compiere senza previa analisi, ma va visto e vissuto come un investimento e pertanto va trattato come tale. Inoltre non mi stancherò mai di ripetere che non crediate che il ROI di un investimento di internazionalizzazione sia immediato, ci vorranno degli anni per ritornare dei propri soldi e questo dipenderà anche in gran parte da ciò che avviene attorno a noi (micro e macro economia).

Di conseguenza il quando deve essere quasi ovvio, ovvero QUANDO l’azienda e pronta. Quando ha deciso come e dove internazionalizzarsi ed ha affrontato la questione finanziaria di questa operazione.
Devo purtroppo aggiungere che aspettare e una prerogativa o per meglio dire un male tutto Italiano, infatti le aziende Italiane sono molto brave ad aspettare troppo e di conseguenza perdono quel treno immaginario che dovrebbe trainare l’azienda in questo tipo di azioni.

Quindi il quando deve essere appena possibile ma comunque mai troppo presto!

[Scritto da David Grosso]
[45° Parallel Consulting]

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[Foto di Cinzia Rui – USA Flag]

Il Come


Bene, una volta che abbiamo l’obiettivo, siamo sicuri di avere un’organizzazione che può supportare la necessità di internazionalizzazione ci troviamo davanti alla non facile ricerca del migliore canale di vendita, il mercato o i mercati sui quali si vuole iniziare a lavorare e quando.

Dato che il “come aziendale” lo abbiamo appena analizzato vediamo come ci si può, o meglio ci si deve organizzare, quando si cerca di vendere all’estero. Prima di tutto vorrei dirvi di dimenticarvi l’ICE (Istituto per il Commercio con l’Estero), perché prima è stato chiuso e poi ristrutturato dalla mano di Monti (già prima funzionava poco e male, chissà ora), infatti se non fate parte di una grande azienda avrete ben pochi benefici dal loro utilizzo in quanto a questo baraccone interessa vendere un servizio come la consulenza e quando creava degli eventi gratuiti erano di scarsa utilità.

E’ vero lo faccio anch’io per mestiere quello delle consulenze, ma almeno non sono un burocrate che capisce poco o nulla delle aziende Italiane in quanto ha solo lavorato in uffici statali o Università. Il nozionismo serve a nulla anzi crea solo guai.

Comunque ritorniamo al mio punto iniziale perché alla fine e quello che deve interessare. Come internazionalizzarsi? Ovvero quali canali utilizzare?

Se basiamo la nostra decisione esclusivamente legandolo ai costi, certamente l’approccio più rapido e meno caro di tutti è quello di trovare un agente o distributore. A questo punto va fatta una scelta strategica molto importante perché e da sottolineare che un contratto di agenzia o di distribuzione implicano delle legalità differenti tra i due soggetti.

Inoltre in alcuni casi le leggi dello stato in cui andiamo a cercare di istituire un rapporto di agenzia o distribuzione potrebbero avere la prevalenza in un contratto ed essere diverse da quelle da noi conosciute, pertanto la spesa di un buon avvocato è da mettere in preventivo se non ci si vuole ritrovare con dei problemi in futuro.
Dal mio punto di vista agenti o distributori si possono equivalere anche se il distributore in quanto tale è “proprietario” del suo cliente questo vuole dire che voi non saprete mai a chi sono stati rivenduti i vostri prodotti se non, forse, quando ci sono problemi con il prodotto, inoltre se il distributore decide di rescindere il contratto, o gli pagate la lista clienti oppure avete perso un paese e dovete iniziare nuovamente da capo.
Ovviamente ci sono modi per venire in contatto con il cliente finale, però non valgono o hanno la stessa resa in tutti i settori merceologici.

Il rappresentante in quanto tale lavora per voi, però al momento di rescindere il contratto dovete tenere conto che c’è un bonus di buona uscita da tenere in considerazione che viene calcolato tenendo conto della media dei fatturati degli ultimi anni.

Pertanto bisogna fare attenzione perché una scelta che potrebbe sembrare semplice invece va ponderata attentamente e in maniera strategica, sappiate comunque che sia l’agente che il distributore vi seguiranno solo ed esclusivamente se il vostro prodotto sarà considerato importante ai fini del loro fatturato. All’inizio sono sempre rose e fiori ma poi ben presto i numeri (fatturato) prendono la precedenza.
Ovvero si applicherà Pareto dove il 20% dei prodotti che rappresenta o rivende inciderà sull’ 80% percento del suo fatturato, e pertanto se non fate parte di quel 20% sarete fuori dai giochi o almeno non verrete trattati in maniera adeguata!

Un altro approccio di internazionalizzazione del prodotto è quello di vendere direttamente.
Sia viaggiando direttamente nel paese di interesse oppure tramite l’apertura di una filiale.

Parliamoci chiaro, mentre le visite dirette sono un modo per tenere i costi più o meno sotto controllo, alla fine non è il modo migliore di internazionalizzare specialmente quando parliamo di quei paesi dove il fattore distanza e fuso orario gioca una componente importate e sfavorevole al mantenimento dei rapporti diretti con il cliente. Quindi se in Europa si potrebbe applicare questa tecnica nel resto del mondo non lo è principalmente perché dopo avere venduto un prodotto dovete essere in grado di seguire un cliente (se ci tenete a quel mercato, al cliente ed al vostro buon nome) ed e quasi impossibile che lo possiate fare a distanza.

Aprire una filiale, pur essendo il miglio modo per seguire direttamente un mercato, costa molto e serve una buona pratica di business per fare le cose per bene. Non solo dovete essere bravi a gestire una nuova azienda, ma ora dovrete diventare veri esperti di quel paese, delle sue leggi, costumi.

Come scritto nella [Unit 2] dovrete avere la persona giusta che vi segue la filiale se non volete avere problemi.
Non basterà che qualcuno vi abbia detto cosa fare e dare le direttive a qualcuno di fare, ma nel caso di filiali estere dovete essere voi in prima persona a dovervi mettere in gioco.

[Scritto da David Grosso]
[45° Parallel Consulting]


















bandiera_usa[Foto di Cinzia Rui – USA Flag]

Vorrei affrontare il mio secondo intervento riguardante le pillole


sull’internazionalizzazione affrontando il classico dibattito sul “cosa fare e come farlo”. Ovvero internazionalizzare ed internazionalizzarsi portano allo stesso risultato ma sono due concetti/azioni ben precisi e diversi. Io posso internazionalizzare la mia azienda ed il mio prodotto, semplicemente cercando il canale distributivo più efficace (in futuro ne parleremo anche di questo) ma in verità la mia azienda è pronta ad internazionalizzarsi?
Cosa voglio dire? E tanto bello avere un bel prodotto ed una rete commerciale, che questa sia diretta o indiretta ed anche capace a venderlo, ma prima di tutto bisogna porsi una domanda essenziale ovvero se l’azienda è in grado di supplire alle esigenze di un mercato estero, ovvero se è in grado di internazionalizzarsi?

Diciamoci la verità, qualsiasi venditore, capo area o direttore commerciale è capacissimo ad andare a prendere un ordine fuori dalle porte di casa, altrimenti non farebbe quel lavoro, ma poi sono (io azienda) in grado di gestire ed evadere quest’ordine?

Come ben si sa’, vendere all’estero non è assolutamente come vendere in Italia. Prima di tutto bisogna conoscere la lingua, e molte volte l’inglese non basta, per esempio provate ad andare a vendere in Cina nel cuore della Manciuria per vedere se vi capiscono poi così bene. Per questo motivo ci terrei a ricordare che non esiste nessun traduttore al mondo capace di vendere il tuo prodotto, perché non lo capisce o conosce. Per capire quanto dico basterebbe leggere quelle aberrazioni commerciali che sono i siti in lingua o la documentazione commerciale delle aziende Italiane tradotta in Inglese, non voglio pensare che cosa venga fuori nelle traduzioni in lingue più complicate come il Cinese. E poi ci si chiede perché all’estero non riusciamo a comunicare bene le qualità del nostro prodotto o servizio. Non siamo più negli anni 80 quando ci si aggiustava anche perché il mercato estero era seriamente quello delle grandi opportunità ed allora sì che si vendevano i frigoriferi agli esquimesi. Ora per vendere all’estero bisogna essere professionali e avere un serio un vantaggio competitivo e bisogna saperlo spiegare e farlo capire.

Comunque chiusa questa breve parentesi sulla comunicazione, ritorniamo al problema principale, ovvero se la mia organizzazione aziendale sa che cosa vuole vendere all’estero? Sa’ come spedire? Oppure e in grado di gestire una lettera di credito e decidere quale forma è quella che mi garantisce di più? Quali sono le leggi che vincolano le importazioni, le certificazioni necessarie, chi farà l’assistenza tecnica, e lo start-up? Quali sono le garanzie i pagamenti e se “quello” non paga e mi ruba la merce???

Pertanto prima di internazionalizzare, bisogna essere ben consci che siamo pronti, che la nostra organizzazione sia internazionalizzata. Perché potremmo trovarci ogni giorno di fronte ad un problema diverso, magari con un cliente è a 8 ore di differenza di fuso orario e sta’ appena adesso iniziando a lavorare mentre per noi sono le 4 del pomeriggio e pensiamo già ad andare a casa!

Pertanto Ricordiamoci che Internazionalizzare vuole dire prima di tutto internazionalizzarsi!

Scritto da David Grosso
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bandiera_usa[Foto di Cinzia Rui – USA Flag]


Pillole di internazionalizzazione, ovvero come curare il malato Azienda con una serie di pillole volte ad aprire la vista e la mente degli addetti ai lavori.

Prima Pillola: Gli Obiettivi


Sono anni ormai che mi sto facendo una domanda, ma perché nella nostra vita personale siamo così bravi a darci degli obiettivi ed invece sul lavoro no?

Un’ esempio che mi va di fare è che quando si va a mangiare fuori, si sceglie il ristorante, il suo prezzo, con chi vogliamo andare e perché no’ il mezzo di trasporto più appropriato per arrivarci tenendo conto del traffico, posteggi etc. In poche parole dopo avere creato un obiettivo, nel mio esempio è quello di andare a mangiare in un ristorante, siamo anche in grado di darci una serie di obiettivi secondari che ci aiuteranno nel nostro intento di farci una cenetta senza troppi contrattempi. Purtroppo non sempre sappiamo usare questa qualità e logicità organizzativa in azienda, e nello specifico ce la dimentichiamo quando si decide di esportare.

Esportare è una bella cosa ed in verità per un’azienda Italiana con un buon prodotto è estremamente importante se non essenziale specialmente in un momento dove il mercato Italiano, in quanto in crisi, non è più sufficiente per supportare le necessità di cash flow aziendale. Strategie commerciali che se non portate avanti correttamente possono diventare un vero e proprio bagno di sangue. Il tutto molto semplicemente perché non si sono creati e pianificati gli obiettivi in maniera corretta.

Pertanto succede che si decide di esportare negli USA, con il “solo” obiettivo di esportare in quel paese, senza però avere considerato e di conseguenza avere creato degli obiettivi sul con chi farlo, quali prodotti esportare, come affrontare il servizio post vendita, succede che dopo la fiera o la visita al cliente che ci aveva contattato non sappiamo più che cosa fare se qualcosa viene a meno dopo la nostra visita.

Come procedere? Come si farebbe se andassimo a cena fuori, ovvero:

Obiettivo Principale:
Esportare negli USA

Obiettivi Secondari:
Ricerca del migliore canale di vendita
Trovare chi in azienda è la persona più adatta a gestire il progetto
Creare una mappatura della concorrenza locale, e non, i loro prezzi!

E così via…

Ovviamente in questo modo potremmo, grazie al raggiungimento di tutti gli obiettivi secondari, raggiungere quello che è il nostro obiettivo principale senza incappare in sconsigliati problemi nella realizzazione del programma di internazionalizzazione.

Ci terrei solo a sottolineare che gli obiettivi devono essere raggiungibili e quantificabili con le forze che abbiamo in campo, altrimenti sono pura fantasia, e sotto il punto di vista finanziario non aspettiamoci un ritorno dell’investimento a breve termine.

Questa è la più grossa balla che colleghi consulenti che non hanno mai passato un giorno in azienda vi propinano. Comunque parleremo dell’aspetto finanziario in una prossima pillola!

Scritto da David Grosso (North Carolina USA) – info@45consulting.com

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