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Le Differenze Culturali


Abbiamo dato nelle precedenti pillole, un’infarinatura generale di che cosa si deve fare prima di avviare il motore prima di partire con un programma di internazionalizzazione.
In questa e nelle prossime pillole vorrei affrontare che cosa bisogna fare sul campo. Perché una cosa e la pianificazione tutt’altro e la realtà che ci aspetta sul mercato.
Pertanto per iniziare vi lascio con una breve analisi che con il mio gruppo di collaboratori mettemmo giù quando iniziai questa attività di Consulenze, sulle differenze culturali che ci sono tra il modo di fare e vivere il Business negli USA ed in Italia.
Si perché conoscere le usanze (non cosa mangiamo ma come lavorano) il paese dove vai, come già detto, è di massima importanza.

THE AMERICAN WAY OF BUSINESS…

• Negli Stati Uniti i consumatori tendono ad essere orientati più al breve periodo e quindi prediligono l’ottenimento rapido dei risultati, mantenedo un occhio di riguardo verso l’aspetto del prodotto e la sua convenienza.
• Nella società Statunitense esiste una forte concorrenza oltre ad una componente di individualismo.
• Ci si aspetta che i leader sappiano prendere delle decisioni in modo top-down.
• Gli Statunitensi hanno tipicamente un atteggiamento del “si può fare”.
• Il compenso dei Top Manager ha una grossa componente di premi e di incentivazioni legate alle prestazioni aziendali. E’ comune l’opzione di partecipazione sia al profitto aziendale che al pacchetto azionario (Stock option).
• Spostarsi di citta o stato per trovare un lavoro non è un deterrente per la maggior parte dei dipendenti americani.
• In molti Stati della Federazione le leggi consentono di licenziare il dipendente quando necessario e con breve preavviso – spesso questo non supera le due settimane.
• Contratti di lavoro dettagliati sono solitamente preparati solo per i Quadri e Dirigenti.
• Esistono delle norme rigorose in relazione alle pari opportunità inerenti al processo di assunzione per quanto riguarda le donne, l’età e le minoranze etniche.
• L’ammontare delle ferie pagate inizia in genere con dieci giorni all’anno e con il bonus di un giorno per ogni anno di anzianità.

VERSO… come SI Fa il business in ITALIA

• Viene data l’enfasi al prezzo del prodotto e le sue performance – sia da parte dei clienti che da parte dei produttori, anche se i parametri non sempre corrispondono.
• I sindacati italiani sono tradizionalmente forti. I dipendenti tendono a fare affidamento su norme consensuali disciplinate da un’autorità collettiva.
• Oltre l’85% delle industrie italiane sono PMI e direttamente controllate e gestito dalla famiglia proprietaria.
• Nuove “direzioni e proposte” spesso sono viste con scetticismo, e messe in discussione dal “perché non”.
• I processi decisionali sono spesso rallentati dalla struttura delle imprese ed il flusso, di tipo “bottom-up”, delle informazioni.
• I diritti sono elementi importanti per la compensazione e la motivazione.
• Le radici locali, la tradizione e le “connessioni famigliari” limitano la mobilità.
• Il licenziare personale è fortemente regolato da leggi e accordi sindacali, e in molti casi sono difficili e costosi.
• Agosto viene normalmente utilizzato come periodo di vacanza, ed è difficile trovare qualcuno disposto a lavorare durante quel mese.
• L’occupazione è vista come un diritto sociale non come un dovere verso il datore di lavoro.
• L’incapacità ad adeguarsi alle condizioni del mercato è il motivo principale del il fallimento delle imprese italiane negli Stati Uniti.


Scritto da David Grosso
[45° Parallel Consulting]

Il Dove e Quando


Abbiamo più che dettagliatamente elaborato su il Come in quanto è il passo più importante quando si parla della preparazione di un’azienda ad un’azione di internazionalizzazione. Però le altre due fasi successive ovvero il Dove ed il Quando non sono da sottovalutare o da prendere sottogamba.

Il Dove è una fase importante in quanto definisce con chiarezza una componente essenziale del percorso di internazionalizzazione che sarebbe già dovuta essere stata pianificata nel BP o per meglio dire che dovrebbe fare nascere un BP e MP ad hoc in quanto richiederà una serie di sforzi aziendali (personale, strutturale e finanziario) che va valutato in anticipo. Ricordiamoci il mio appunto sull’internazionalizzarsi prima di internazionalizzare.

Quindi la questione Dove deve essere una questione tipicamente di strategia aziendale. Il dove non deve essere dove van tutti, anche perché seguire la massa come un caprone non serve a nulla, anzi ha normalmente l’effetto contrario a quello che ci aspettiamo. Il Dove che in poche parole è il mercato/i dove vogliamo andare, deve essere scelto in base alle nostre capacità aziendali, alle condizioni del mercato, al costo relativo all’operazione e non ultimo dall’attrattiva che il nostro prodotto ha sui potenziali clienti in quel paese.

Questa del mercato o del dove, diventa una decisione che richiede un certo livello di rischio, ecco perché internazionalizzare non va visto come un processo semplice e da compiere senza previa analisi, ma va visto e vissuto come un investimento e pertanto va trattato come tale. Inoltre non mi stancherò mai di ripetere che non crediate che il ROI di un investimento di internazionalizzazione sia immediato, ci vorranno degli anni per ritornare dei propri soldi e questo dipenderà anche in gran parte da ciò che avviene attorno a noi (micro e macro economia).

Di conseguenza il quando deve essere quasi ovvio, ovvero QUANDO l’azienda e pronta. Quando ha deciso come e dove internazionalizzarsi ed ha affrontato la questione finanziaria di questa operazione.
Devo purtroppo aggiungere che aspettare e una prerogativa o per meglio dire un male tutto Italiano, infatti le aziende Italiane sono molto brave ad aspettare troppo e di conseguenza perdono quel treno immaginario che dovrebbe trainare l’azienda in questo tipo di azioni.

Quindi il quando deve essere appena possibile ma comunque mai troppo presto!

[Scritto da David Grosso]
[45° Parallel Consulting]

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[Foto di Cinzia Rui – USA Flag]

Il Come


Bene, una volta che abbiamo l’obiettivo, siamo sicuri di avere un’organizzazione che può supportare la necessità di internazionalizzazione ci troviamo davanti alla non facile ricerca del migliore canale di vendita, il mercato o i mercati sui quali si vuole iniziare a lavorare e quando.

Dato che il “come aziendale” lo abbiamo appena analizzato vediamo come ci si può, o meglio ci si deve organizzare, quando si cerca di vendere all’estero. Prima di tutto vorrei dirvi di dimenticarvi l’ICE (Istituto per il Commercio con l’Estero), perché prima è stato chiuso e poi ristrutturato dalla mano di Monti (già prima funzionava poco e male, chissà ora), infatti se non fate parte di una grande azienda avrete ben pochi benefici dal loro utilizzo in quanto a questo baraccone interessa vendere un servizio come la consulenza e quando creava degli eventi gratuiti erano di scarsa utilità.

E’ vero lo faccio anch’io per mestiere quello delle consulenze, ma almeno non sono un burocrate che capisce poco o nulla delle aziende Italiane in quanto ha solo lavorato in uffici statali o Università. Il nozionismo serve a nulla anzi crea solo guai.

Comunque ritorniamo al mio punto iniziale perché alla fine e quello che deve interessare. Come internazionalizzarsi? Ovvero quali canali utilizzare?

Se basiamo la nostra decisione esclusivamente legandolo ai costi, certamente l’approccio più rapido e meno caro di tutti è quello di trovare un agente o distributore. A questo punto va fatta una scelta strategica molto importante perché e da sottolineare che un contratto di agenzia o di distribuzione implicano delle legalità differenti tra i due soggetti.

Inoltre in alcuni casi le leggi dello stato in cui andiamo a cercare di istituire un rapporto di agenzia o distribuzione potrebbero avere la prevalenza in un contratto ed essere diverse da quelle da noi conosciute, pertanto la spesa di un buon avvocato è da mettere in preventivo se non ci si vuole ritrovare con dei problemi in futuro.
Dal mio punto di vista agenti o distributori si possono equivalere anche se il distributore in quanto tale è “proprietario” del suo cliente questo vuole dire che voi non saprete mai a chi sono stati rivenduti i vostri prodotti se non, forse, quando ci sono problemi con il prodotto, inoltre se il distributore decide di rescindere il contratto, o gli pagate la lista clienti oppure avete perso un paese e dovete iniziare nuovamente da capo.
Ovviamente ci sono modi per venire in contatto con il cliente finale, però non valgono o hanno la stessa resa in tutti i settori merceologici.

Il rappresentante in quanto tale lavora per voi, però al momento di rescindere il contratto dovete tenere conto che c’è un bonus di buona uscita da tenere in considerazione che viene calcolato tenendo conto della media dei fatturati degli ultimi anni.

Pertanto bisogna fare attenzione perché una scelta che potrebbe sembrare semplice invece va ponderata attentamente e in maniera strategica, sappiate comunque che sia l’agente che il distributore vi seguiranno solo ed esclusivamente se il vostro prodotto sarà considerato importante ai fini del loro fatturato. All’inizio sono sempre rose e fiori ma poi ben presto i numeri (fatturato) prendono la precedenza.
Ovvero si applicherà Pareto dove il 20% dei prodotti che rappresenta o rivende inciderà sull’ 80% percento del suo fatturato, e pertanto se non fate parte di quel 20% sarete fuori dai giochi o almeno non verrete trattati in maniera adeguata!

Un altro approccio di internazionalizzazione del prodotto è quello di vendere direttamente.
Sia viaggiando direttamente nel paese di interesse oppure tramite l’apertura di una filiale.

Parliamoci chiaro, mentre le visite dirette sono un modo per tenere i costi più o meno sotto controllo, alla fine non è il modo migliore di internazionalizzare specialmente quando parliamo di quei paesi dove il fattore distanza e fuso orario gioca una componente importate e sfavorevole al mantenimento dei rapporti diretti con il cliente. Quindi se in Europa si potrebbe applicare questa tecnica nel resto del mondo non lo è principalmente perché dopo avere venduto un prodotto dovete essere in grado di seguire un cliente (se ci tenete a quel mercato, al cliente ed al vostro buon nome) ed e quasi impossibile che lo possiate fare a distanza.

Aprire una filiale, pur essendo il miglio modo per seguire direttamente un mercato, costa molto e serve una buona pratica di business per fare le cose per bene. Non solo dovete essere bravi a gestire una nuova azienda, ma ora dovrete diventare veri esperti di quel paese, delle sue leggi, costumi.

Come scritto nella [Unit 2] dovrete avere la persona giusta che vi segue la filiale se non volete avere problemi.
Non basterà che qualcuno vi abbia detto cosa fare e dare le direttive a qualcuno di fare, ma nel caso di filiali estere dovete essere voi in prima persona a dovervi mettere in gioco.

[Scritto da David Grosso]
[45° Parallel Consulting]


















bandiera_usa[Foto di Cinzia Rui – USA Flag]

Vorrei affrontare il mio secondo intervento riguardante le pillole


sull’internazionalizzazione affrontando il classico dibattito sul “cosa fare e come farlo”. Ovvero internazionalizzare ed internazionalizzarsi portano allo stesso risultato ma sono due concetti/azioni ben precisi e diversi. Io posso internazionalizzare la mia azienda ed il mio prodotto, semplicemente cercando il canale distributivo più efficace (in futuro ne parleremo anche di questo) ma in verità la mia azienda è pronta ad internazionalizzarsi?
Cosa voglio dire? E tanto bello avere un bel prodotto ed una rete commerciale, che questa sia diretta o indiretta ed anche capace a venderlo, ma prima di tutto bisogna porsi una domanda essenziale ovvero se l’azienda è in grado di supplire alle esigenze di un mercato estero, ovvero se è in grado di internazionalizzarsi?

Diciamoci la verità, qualsiasi venditore, capo area o direttore commerciale è capacissimo ad andare a prendere un ordine fuori dalle porte di casa, altrimenti non farebbe quel lavoro, ma poi sono (io azienda) in grado di gestire ed evadere quest’ordine?

Come ben si sa’, vendere all’estero non è assolutamente come vendere in Italia. Prima di tutto bisogna conoscere la lingua, e molte volte l’inglese non basta, per esempio provate ad andare a vendere in Cina nel cuore della Manciuria per vedere se vi capiscono poi così bene. Per questo motivo ci terrei a ricordare che non esiste nessun traduttore al mondo capace di vendere il tuo prodotto, perché non lo capisce o conosce. Per capire quanto dico basterebbe leggere quelle aberrazioni commerciali che sono i siti in lingua o la documentazione commerciale delle aziende Italiane tradotta in Inglese, non voglio pensare che cosa venga fuori nelle traduzioni in lingue più complicate come il Cinese. E poi ci si chiede perché all’estero non riusciamo a comunicare bene le qualità del nostro prodotto o servizio. Non siamo più negli anni 80 quando ci si aggiustava anche perché il mercato estero era seriamente quello delle grandi opportunità ed allora sì che si vendevano i frigoriferi agli esquimesi. Ora per vendere all’estero bisogna essere professionali e avere un serio un vantaggio competitivo e bisogna saperlo spiegare e farlo capire.

Comunque chiusa questa breve parentesi sulla comunicazione, ritorniamo al problema principale, ovvero se la mia organizzazione aziendale sa che cosa vuole vendere all’estero? Sa’ come spedire? Oppure e in grado di gestire una lettera di credito e decidere quale forma è quella che mi garantisce di più? Quali sono le leggi che vincolano le importazioni, le certificazioni necessarie, chi farà l’assistenza tecnica, e lo start-up? Quali sono le garanzie i pagamenti e se “quello” non paga e mi ruba la merce???

Pertanto prima di internazionalizzare, bisogna essere ben consci che siamo pronti, che la nostra organizzazione sia internazionalizzata. Perché potremmo trovarci ogni giorno di fronte ad un problema diverso, magari con un cliente è a 8 ore di differenza di fuso orario e sta’ appena adesso iniziando a lavorare mentre per noi sono le 4 del pomeriggio e pensiamo già ad andare a casa!

Pertanto Ricordiamoci che Internazionalizzare vuole dire prima di tutto internazionalizzarsi!

Scritto da David Grosso
45 Parallel Consulting LLC


















bandiera_usa[Foto di Cinzia Rui – USA Flag]


Pillole di internazionalizzazione, ovvero come curare il malato Azienda con una serie di pillole volte ad aprire la vista e la mente degli addetti ai lavori.

Prima Pillola: Gli Obiettivi


Sono anni ormai che mi sto facendo una domanda, ma perché nella nostra vita personale siamo così bravi a darci degli obiettivi ed invece sul lavoro no?

Un’ esempio che mi va di fare è che quando si va a mangiare fuori, si sceglie il ristorante, il suo prezzo, con chi vogliamo andare e perché no’ il mezzo di trasporto più appropriato per arrivarci tenendo conto del traffico, posteggi etc. In poche parole dopo avere creato un obiettivo, nel mio esempio è quello di andare a mangiare in un ristorante, siamo anche in grado di darci una serie di obiettivi secondari che ci aiuteranno nel nostro intento di farci una cenetta senza troppi contrattempi. Purtroppo non sempre sappiamo usare questa qualità e logicità organizzativa in azienda, e nello specifico ce la dimentichiamo quando si decide di esportare.

Esportare è una bella cosa ed in verità per un’azienda Italiana con un buon prodotto è estremamente importante se non essenziale specialmente in un momento dove il mercato Italiano, in quanto in crisi, non è più sufficiente per supportare le necessità di cash flow aziendale. Strategie commerciali che se non portate avanti correttamente possono diventare un vero e proprio bagno di sangue. Il tutto molto semplicemente perché non si sono creati e pianificati gli obiettivi in maniera corretta.

Pertanto succede che si decide di esportare negli USA, con il “solo” obiettivo di esportare in quel paese, senza però avere considerato e di conseguenza avere creato degli obiettivi sul con chi farlo, quali prodotti esportare, come affrontare il servizio post vendita, succede che dopo la fiera o la visita al cliente che ci aveva contattato non sappiamo più che cosa fare se qualcosa viene a meno dopo la nostra visita.

Come procedere? Come si farebbe se andassimo a cena fuori, ovvero:

Obiettivo Principale:
Esportare negli USA

Obiettivi Secondari:
Ricerca del migliore canale di vendita
Trovare chi in azienda è la persona più adatta a gestire il progetto
Creare una mappatura della concorrenza locale, e non, i loro prezzi!

E così via…

Ovviamente in questo modo potremmo, grazie al raggiungimento di tutti gli obiettivi secondari, raggiungere quello che è il nostro obiettivo principale senza incappare in sconsigliati problemi nella realizzazione del programma di internazionalizzazione.

Ci terrei solo a sottolineare che gli obiettivi devono essere raggiungibili e quantificabili con le forze che abbiamo in campo, altrimenti sono pura fantasia, e sotto il punto di vista finanziario non aspettiamoci un ritorno dell’investimento a breve termine.

Questa è la più grossa balla che colleghi consulenti che non hanno mai passato un giorno in azienda vi propinano. Comunque parleremo dell’aspetto finanziario in una prossima pillola!

Scritto da David Grosso (North Carolina USA) – info@45consulting.com


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Enrico Maria Rosso
44anni!!! Ha fondato la REWEN Group, societa’ leader nella ristrutturazione di imprese in crisi… (quindi il lavoro non gli manca :-)) Ha diretto per 14 anni un’ importante divisione di una Multinazionale francese con sedi in tutto il Mondo. E’ il Rappresentante Onorario della Camera di Commercio Americana per il Piemonte. E’ nel Board di ASSOCOMPOSITI (Associazione Nazionali Compositi e Affini) con funzione di Responsabile delle Relazioni Esterne. E’ Vicepresidente di APVA, l’Associazione Nazionale dei Professionisti legati al vetro dell’automobile. Ha lavorato presso Hutchinson/LJF Adhesives e Sealant Division Italy. Come abbia trovato il temp per questa intervista, non si sa ma c’è riuscito! 🙂



1) Oggi le condizioni migliori per le startup sembrano essere negli Stati Uniti a New York ed in Europa in Germania, grazie agli incentivi ed all’impegno delle amministrazioni pubbliche a sostegno dell’innovazione e dei giovani startupper e con la creazione di private/public partnership.


Le imprese italiane che si affacciano sui mercati internazionali sono poco più del 10% anche se in aumento continuo dal 2007 (fonte: articolo “Agenda digitale e Start up, boccata d’ossigeno per l’Italia” di Giampaolo Colletti – 13 dicembre 2012 su il Fatto Quotidiano).


Cosa consiglia a chi apre una startup? Gettarsi subito verso il mercato estero o rimanere in loco? Qualche consiglio utile per cercare partner e finanziatori?



Bisogna puntare su startup innovative: è importante fare un’accurata analisi del mercato su cui posizionarsi.
I prodotti ormai maturi sono da abbandonare in favore di prodotti con impieghi innovativi.


Mi piace citare la teoria dell’Oceano Rosso e dell’Oceano Blu, se il primo è colmo di squali-concorrenti, il secondo è libero e sicuro: ovvero puntare su mari aperti e liberi, questo è il segreto.


Per fare un esempio pratico, quando ormai la PlayStation 3 di Sony la faceva da padrona sul mercato dell’entertainment elettronico, la Nintendo ha lanciando nel 2006 la Wii,la consolle per videogiochi interattiva senza fili che riproduce lo sport-il gioco reale sorpassando ampiamente nelle vendite le rivali Microsoft e Sony.


Per rispondere alla domanda se sia meglio puntare subito al mercato estero: non necessariamente, si può anche rimanere in Italia. Per esempio, la Camera di Commercio del Piemonte organizza ogni anno un incontro chiamato “brain calling” in cui aziende grosse incontrano giovani startupper che presentano progetti innovativi.




2) Se è vero che la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 40% nei primi mesi del 2013, anche il numero dei licenziati over 45 è aumentato della stessa percentuale dal 2011 al 2012.
E’ possibile ricreare quel rapporto di “mentoring” che esisteva una volta tra lavoratori giovani e meno giovani all’interno delle aziende?


Faccio un esempio pratico: un tempo si andava a bottega e se eri capace e ti davi da fare il bottegaio di insegnava tutto dalla A alla Z e dopo aver trascorso diversi anni come ausiliario potevi aprire con successo una tua bottega.


Perché le aziende non credono in queste forme di cooperazione interna e crescita comune e di formazione diffusa e continua? Per lei che ha una visione molto internazionale dell’impresa, ci sono esempi di aziende che effettivamente portano avanti programmi di questo tipo in Italia o all’estero?


Perché in periodo di crisi i lavoratori, le imprese invece di sostenersi a vicenda e di promuoversi con la promozione reciproca, si mettono ancora più in difficoltà? A chi giova una guerra tra giovani disoccupati ed ex lavoratori meno giovani.



Con l’aumento delle aspettative di vita, anche chi è più vicino all’uscita dal mondo lavorativo ha ancora piacere di mettersi in gioco, è ancora in piena attività.
Un discorso di mentoring si potrebbe ricreare ma va ben oltre di qualcosa che si possa istituzionalizzare, perchè è un processo che passa attraverso la parte culturale della persona. Certo, si può incentivare ma non istituzionalizzare.
La guerra tra generazioni non giova a nessuno perchè le aziende hanno bisogno di giovani “con esperienza”.




3) Non solo Pil, produttività o spread, la distanza fra Italia e Germania è anche sui salari. Secondo una graduatoria Istat, nel nostro paese la retribuzione oraria lorda è inferiore di oltre il 14% rispetto a quella della Germania, del 13% sul Regno Unito e dell’11% sulla Francia. Dove gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa, ma pur sempre più alti che in molti altri paesi.
Forti divari si registrano pure fra neoassunti e `anziani´, tra uomini e donne, con un `gap´ di oltre il 20% a sfavore delle lavoratrici, tra dipendenti con titolo accademico e quelli con la sola istruzione primaria.
Cosa fare?



Gli imprenditori italiani non giocano al ribasso sui salari per interesse. Se le persone valgono possono fare la differenza.
Oggi non paga più essere uno dei tanti, bisogna fare qualcosa di diverso.
Le aziende necessitano di giovani preparati. Per esempio, essendo io stesso titolare di azienda (fondatore della Rewen), apprezzerei un candidato che si presenti ad un colloquio dicendomi “ho fatto un’analisi dei prodotti della sua azienda e questo suo prodotto potrebbe essere venduto di più in questo modo: ….”.
La proattività è l’arma vincente.

Se si offre qualcosa in più, il salario sale di conseguenza.
Quando si fa un colloquio bisogna presentarsi dicendo NON “cosa posso fare per voi”, ma “Io per Voi posso fare questo!”.
Sono indispensabili capacità, professionalità e passione.




4) Ad una conferenza lei ha detto che ditte tedesche riescono a vendere automobili in Cina con volumi molto più grandi di noi. In cosa dobbiamo migliorare?



I prodotti tedeschi hanno dalla loro performances e qualità maggiori nella percezione del consumatore finale.
L’approccio italiano è vincente nel problem solving e dotato di elasticità maggiore, ma a volte troppo superficiale.
Bisogna che noi Italiani produciamo prodotti migliori ma anche nei modi e secondi criteri migliori.




5) Quali sono le iniziative che la Camera di Commercio degli Stati Uniti in Piemonte sta portando avanti e come?



Principalmente creiamo sinergie tra aziende americane ed aziende italiane forti in America.
A maggio per esempio è prevista una visita del governatore del Carolina del sud per attrarre investimenti americani qui in Italia ed aiutare le imprese italiane ad investire in America.




6) In Cina lavorano tante ore al giorno ed anche i sabati e le domeniche. Per noi veramente il futuro sarà andare in quella direzione quando i nostri avi tanto hanno lottato per avere orari migliori che diano spazio anche alla famiglia?



Sì purtroppo serve maggiore flessibilità: il lavoro bisogna prenderlo quando c’è e come c’è.




7) Sulla Repubblica era uscito un articolo di Federico Rampini, in cui si diceva che dall’outsurcing si passerà al quicksourcing, ovvero delocalizzazione rapida, riavvicinando le produzioni manufatturiere, per esempio spostando parte della produzione manifatturiera statunitense dalla Cina al Messico.
Secondo lei, gli equilibri economici e geografici sono destinati a cambiare ed in che modo?



Sì gli equilibri cambiano ed anche velocemente. Oggi un imprenditore deve essere velocissimo nel cogliere i mutamenti del mercato anche delocalizzando. Ma anche una produzione fatta bene in Italia potrebbe rivelarsi vincente nel lungo periodo.




8) La Svizzera con un referendum storico vinto col 67,9% di voti favorevoli e l’appoggio di tutti i cantoni ha messo un tetto agli stipendi dei manager delle società quotate in borsa ed ha vietato le liquidazioni milionarie ed i “paracaduti dorati” versati ai dirigenti anche in caso di risultati economici non conseguiti e in un periodo di crisi.
E’ di febbraio la notizia del licenziamento dell’AD di Groupon in seguito a dei risultati al di sotto delle aspettative.
Il mercato sta diventando più severo anche per i dirigenti? Solo all’estero o anche in Italia?



I top manager sono pagati molto e, quindi, devono fare la differenza. Oggi un dirigente deve avere una visione globale del mercato, deve essere eclettico, saper cambiare mentalità da una settimana all’altra, saper parlare più lingue e bene, interfacciarsi con una pluralità di Paesi differenti.



Enrico Maria Rosso
Email:
rosso.piemonte@amcham.it
Enricomariarosso@yahoo.it
[per il profilo Linkedin di Enrico Maria Rosso, clicca qui]

Intervistatrice: Monica Cordola




















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Se ci sono idee e progetti ponderati anche i “Piccoli” possono RUGGIRE!!!


Benvenuti ad un altro appuntamento della nostra rubrica MysteryCool dove sveliamo i segreti che si celano dietro realtà di successo.

Oggi vi parleremo della [Copat srl] una realtà tutta piemontese che commercializza utensili, accessori per il cablaggio e componenti elettrici per il settore automotive che ha saputo negli anni attuare una serie di strategie aziendali che hanno permesso di ottenere ottimi risultati.
Andiamo quindi ad analizzare insieme gli elementi che più mi sono piaciuti.

A questo punto soprattutto per i più scettici consiglio di continuare la lettura, perché quello che ho visto nella Copat è la risultante di tantissimi degli aspetti positivi che abbiamo raccolto fin qui e dei quali vi abbiamo parlato nei precedenti articoli.

Proprio così vi stiamo portando una testimonianza del fatto che ciò che è stato scritto non sono solo buoni propositi ma ci sono realtà che stanno utilizzando (anzi le utilizzavano già prima della realizzazione di questo blog) tali strategie per ottenere risultati.

Sicuro che mi perdoneranno i più anche se continuo con il mio solito atteggiamento critico, ma qualcuno che vi “vuole bene”… la scossa, ve la deve pur dare (è risaputo… ai Clienti e ai Lettori si deve voler bene… come persone care di famiglia). 😉

Quindi se pensate ancora “ci vogliono troppi soldi” o “non abbiamo tempo per…” sarà il caso di rivedere in quale direzione si sta navigando per poter apportare le giuste correzioni alla rotta, perché i motivi che ci stanno spingendo in acque profonde e tempestose probabilmente, sono altri e la situazione necessita di ulteriori analisi!

Andiamo a sbirciare il perché di tanto successo, in primo luogo l’analisi del mercato e l’attenzione verso i feedback che arrivano dai commerciali on site hanno permesso alla dirigenza Copat di portare avanti dei progetti di ricerca e sviluppo per la realizzazione di prodotti di qualità e di utensili semplici ed innovativi per agevolare gli utilizzatori finali nel loro lavoro.
Insomma hanno saputo seguire da subito la tesi secondo la quale il cliente vuole essere ascoltato e lui stesso ci consiglierà come ed in cosa vuole spendere i suoi soldi.

Proporre poi i propri prodotti anche su mercati particolari quali quello della preparazione di auto da corsa ed il restauro di auto d’epoca è quasi una scelta obbligata per chi ha fatto dell’aftermarket automobilistico uno dei settori di punta della propria strategia di vendita che prevede una forte componente consulenziale.

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Foto di Daniele Catarozzi – [Lancia Stratos]

Ma come vi ho detto mille volte e vi ripeto per la “milleunesima” questo non è abbastanza, i prodotti anche di qualità non si vendono da soli!
Come ha reagito la realtà che stiamo osservando? La “piccola”, ma organizzatissima azienda del torinese ha saputo coniugare l’esperienza con il nuovo, adattando a proprio uso e consumo strategie osservate per altri settori, realizzando una rete commerciale e logistica sul territorio italiano decisamente particolare, sono stati attrezzati infatti una serie di furgoni per la tentata vendita, si è scoperto che sia per il settore di riferimento che per la particolarità dei prodotti offerti, questo è lo strumento che più si adatta al mercato e che contemporaneamente permette una gestione logistica molto snella ed efficace, permettendo tempestività delle consegne ed un servizio di somministrazione dei beni che si adatta perfettamente alla clientela, offrendo i giusti quantitativi e evitando al cliente costosi stock di magazzino.
Questa strategia si è dimostrata faticosa nel breve ma assolutamente vincente nel medio termine ed ha contribuito alla fidelizzazione della clientela e alla continua espansione sul territorio italiano.

Altro punto di forza è il continuo sostegno della rete commerciale da parte del compound marketing che lavora in sinergia continua con gli operatori impegnati sul campo, in questo ambito è stata sviluppata una comunicazione su vari fronti partendo dai servizi di fidelizzazione del cliente finale con corsi per arrivare a vere e proprie consulenze tecniche, a tal proposito… vi consiglio di rileggervi il nostro articolo [Parola d’ordine Fidelizzare].

Arriviamo in fine alle attività di pura propagazione del marchio ma sempre su argomenti fortemente correlati al mercato di riferimento come sponsorizzazioni a progetti all’avanguardia nel settore automotive.

Ne è un esempio il progetto Xam 2.0 del [Team H2politO – Molecole da Corsa]

Vi lascio ad un contenuto multimediale molto esauriente:

http://www.youtube.com/watch?v=9bG8067z_ts

Fin qui abbiamo rivisto tutta una serie di attività che si possono attuare sul mercato italiano per cercare di far crescere la propria azienda già gli aspetti analizzati potrebbero bastare a guadagnarsi un posto nella nostra rubrica MysteryCool ma come al solito cerchiamo di stupirvi e quindi andiamo ad affrontare ancora un ultimo argomento prima di lasciarci fino al prossimo articolo…

I dirigenti Copat hanno deciso da alcuni anni di affrontare anche un altra sfida, quella della internazionalizzazione, proprio così la famigerata parola che tutti vorrebbero poter pronunciare parlando della propria azienda e che spesso purtroppo si trasforma in un nulla di fatto.

Sono stati in grado di espandere il proprio mercato con passi brevi, pianificati e decisi e ad oggi hanno raggiunto mete che fino a pochi anni fa sembravano irragiungibili, lascio a voi meditare sulla portata di tali operazioni attraverso la prossima figura…

copat_export

Non lo trovate interessante?
Vi lascio soltanto uno spunto… “improvvisare tali progetti vi porterà soltanto a buttare via dei soldi nella speranza di ottenere risultati”!

Quindi vi prometto che affronterò più nel dettaglio l’argomento in futuro con l’aiuto di un paio di colleghi professionisti del settore “internazionalizzazione”, perché secondo me è uno di quegli argomenti assolutamente da trattare ma che per ovvi motivi di spazio non riusciremo ad approfondire in questa occasione vista l’immensità dell’argomento…

Vi ricordo che per eventuali informazioni e domande i commenti al fondo dell’articolo sono aperti a tutti!
Si ringrazia Paolo Guazzone Direttore Marketing Copat srl per la collaborazione.

Vi aspetto tutti al prossimo scottante articolo… sempre in stile MarketCool!

Scritto da Daniele Catarozzi


















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